giovedì 3 aprile 2014

RI-FIUTARE


Tante volte mi tocca e mi piace parlare dell’invisibile: ciò che non si vede, che si nasconde, o che appena si percepisce. Infatti ho l’idea che l’invisibile sia ciò che in qualche modo sottende e che porta la realtà, il suo vero senso, il suo significato più profondo. Ma allo stesso tempo, soprattutto quando viaggio e guardo dal finestrino del treno, che per altro attraversa la realtà più reale: terre, coste, città, periferie, ponti, ecc., percepisco tutta l’ambiguità dell’invisibilità di questa vita. Infatti mi domando dove vanno a finire le scorie di questa realtà, siano esse organiche o inorganiche? Dove vanno a finire tutti i frammenti umani e non che vengono in qualche modo “non ammessi” nella realtà più evidente, quella che a nostro avviso, fa la storia. E allora, più che guardare, mi viene da fiutare o, come direbbe qualsiasi dizionario etimologico: da attirare l’aria con il naso, per sentire l’odore delle cose. Sì, l’odore delle cose perché l’invisibile non è solo spirito, anima o animus, ma anche “odore delle cose” e delle persone, aggiungo io. Allora chissà, il pensiero e la pratica dell’invisibile, divengono più concreti: l’invisibile non è il tema di un ritiro spirituale, ma quello della gestione di una quotidianità che non riusciamo ad amministrare molto bene, così da generare tanti “rifiuti” umani e non, organici e inorganici. D'altronde: fiutare, rifiutare, rifiuti, sono tutti atteggiamenti e realtà (per quanto riguarda i rifiuti), in qualche modo legati tra loro. Tutto consegnato tranquillamente all’invisibilità, sotterrato, affinché, senza rumore, vada nell’oblio. Ma guarda caso, come capita per altre problematiche del nostro vivere quotidiano, se la memoria umana è molto corta e si dimentica o fa finta di dimenticare, quella della Terra, non è così. Perché anche la Terra, così come l’acqua, ha memoria e ci ricorderà prima o poi che abbiamo “rifiutato troppo” e paradossalmente: “fiutato troppo poco”. Chissà, se qualcuno ci ispirerà qualcosa di nuovo, o chissà, forse dovremmo ricorrere all’ancestrale dea del Panteon Azteca (guarda caso il femminile del divino, che di rifiuto se ne intende) dal nome Tlaelcuani (la comedora de inmundicias), colei che si fa carico delle immondizie e della “discarica” … (Fotografia Flicker-Photo Sharing)

venerdì 28 marzo 2014

GUARDANDO LA REALTA': ODE ALLA DIFFERENZA


L'equilibrio non è perfezione e tanto meno esclusione di qualcosa che potremmo considerare “ingombrante”. Non è nemmeno essere bravi a camminare su un filo in isolata solitudine, quasi sospesi, per non toccare mai lo spazio circostante e ancor meno caderci dentro. Chissà, forse è concentrazione di opposti; accumulo di energie diverse; proprietà differenti, per scampare, da quella che gli scienziati chiamano; “morte termica dell’Uni-verso” che, personalmente preferisco pensare “Multi-verso”. L’equilibrio, dunque, chiedendo scusa a coloro che sanno dare una ragionevole e matematica spiegazione , non esiste, se non come partecipazione di alchemici pezzi, o di differenti persone o ancora: di infinite creatività. Ogni realtà, repressa, eliminata o esclusa, non è la fine di quella precisa realtà, ma è, appunto, la morte energetica del “Multi-verso”. (la fotografia è di B. Zoppi)


martedì 25 marzo 2014

DOPO AVER PROVATO A GUARDARE INSIEME

A San Pancrazio, nella comunità di accoglienza gestita da suor Rita e Vittoria, lo scorso fine settimana, come avevo annunciato sul mio Blog, grazie all'associazione interculturale ANTERLUX, abbiamo infranto le leggi classiche che regolano la storia in un laboratorio creato tra pensiero esperienziale filo-teologico, arte della fotografia e del teatro. Insieme a me hanno lavorato Simone Stanislai,  fotografo professionale catturato da sempre dall'archeologia della vita, che ci ha proposto l’arte del guardare e del vedere attraverso l’obbiettivo fotografico. Luca Maugeri, attore di teatro che, attraverso le pratiche dello sguardo, ci ha insegnato a non perdere nulla dei movimenti inaspettati della realtà, fatta di persone e di cose. Personalmente voglio ringraziare Simone e Luca per come sono entrati in sintonia con le anarchiche coordinate del mio pensiero. Ma soprattutto dico grazie ai e alle partecipanti, che tra domande, stupori, sguardi e riflessioni, hanno sospinto questa ricerca che, speriamo, si possa continuare. Un grazie particolare a Ersilia Ferrini e Franca Diana. (il quadro è di Stefano Busonero: www.busonero.it)

lunedì 24 marzo 2014

IL SANGUE DIVENTA RUGIADA:IN MEMORIA DI


“E venne la notte con molti de’ suoi membri. Questa è la notte de’ tiepidi e de’ falsi fratelli i quali per non essere conosciuti vanno di notte …” (Girolamo Savonarola)

 24 Marzo del 1980 viene assassinato a San Salvador il vescovo Oscar Romero. 13 marzo del 1983, Marianela Garcìa, avvocata per i diritti umani, viene catturata da un gruppo dell’esercito salvadoregno, torturata e uccisa in un villaggio, dove stava indagando sulle armi chimiche (al naplam e al fosforo bianco) usate dall’esercito, contro la popolazione civile. Queste e tante altre, fino ad oggi, sono quelle situazioni in cui sembra che arrivi improvvisamente la notte, con molti de’ suoi membri – come predicava il frate domenicano Girolamo Savonarola molti secoli prima – notte de’ tiepidi e dei falsi, di chi comunque ha bisogno di nascondere e di nascondersi. Confesso che mi resta sempre difficile commemorare qualcuno o qualcosa, confesso che ho sempre paura che il linguaggio sia insufficiente e retorico. Penso che solo coloro che hanno vissuto quegli anni potrebbero parlarne con autorità. A noi infatti resta solo la parresia del presente, la possibilità di essere ancora vivi, vive, per continuare umilmente e con forza, quel dolcissimo sogno, che scoppiò nel Big-Bang della storia e che si chiama vita e che qualcuno, chiamato Gesù di Nazareth, osò pensarla proprio così, come quando esplose: e cioè come vita in abbondanza.

Allora questa sera non è solo una serata di ricordo e, magari, il  nostro essere convocati attorno ad un altare, non è un semplice rito, ma un gesto di partecipazione politica e di impegno ancora in atto, il memoriale di quel sogno-divino umano a cui vorremmo partecipare. E’ per questo che voglio ricordare un breve pensiero di Marianela Garcìa:  La mia storia è parte della storia di tutto un popolo; posso essere un testimone, ma non un personaggio; il mio non è un caso unico, singolare fuori dal comune; quello che è successo a me è successo a migliaia e migliaia di uomini e donne in tutto il Paese. Il mio è un caso comune. Certo, ci sono le particolarità e di ogni vita, incidentalmente si possono aver vissuto momenti peculiari e diversi, ma la sostanza è quella di un cammino che si confonde con quello di tutti…” .

Oscar Romero, Marianela Garcìa, sua collaboratrice e ispiratrice, non sono annoverati tra gli eroi, come nessuno di noi vorrebbe essere annoverato tra gli eroi, ma tra i pieni di desiderio, quelli che nelle scritture si chiamano EBIONIM, quelli che nonostante tutto sostengono la storia, immaginandosela diversa e trovando i gesti giusti per renderla tale. Allora ciò che celebriamo questa sera è più simile a quel memoriale celebrato  puntualmente da chi non vuol venir meno a questo desiderio, e forse noi, questa sera, se qualcuno ci chiedesse: “che significa questo?” come nel rituale ebraico, dovremmo rispondere: è la Pasqua, il desiderio della liberazione, il desiderio delle relazioni nuove tra tutti noi, il desiderio perché uomini e donne imparino a vivere nella giustizia, con le loro identità, le loro creatività. E’ il desiderio perché non si spendano più soldi per gli armamenti e perché le persone non si armino più, è il desiderio perché non esistano più le mafie né politiche né religiose, dei falsi e dei tiepidi che si nascondono –per usare ancora le parole di Girolamo Savonarola -; è la ricerca e lo sforzo di chi vuole imparare a vivere in un altro modo, di chi non vuole che la terra serva per vivere solo a pochi e venga sfruttata come fosse un oggetto in più in un mercato orami senza senso.

E ricordare Oscar Romero, Marianela Garcìa, significa questo: restare desti, non prendere sonno non smettere di desiderare e di creare. Mangiare ancora quello stesso pane e bere a quello stesso calice, che quella mattina del 24 marzo dell’80, rimase come sospeso nell’aria e nel tempo, quasi per uscire da quelle solite coordinate dell’umano, perché non si pensi che le cose che accadono in altri paesi del mondo non ci riguardano, o perché si pensi che quel tempo è cronologicamente lontano e il nostro è un altro, è più pacifico, più giusto.

E se così fosse, allora io mi domando: perché questa tranquillità riguarda poche persone? Perché invece di lasciarci ispirare dalla vita, è il denaro a dettare le leggi dell’umanità e del cosmo? Il denaro, le banche, le leggi della finanza. Come mai qualcuno alza ancora le armi contro i suoi simili? Come mai l’umanità è ancora capace di saccheggiare il suo habitat? Come mai ci saccheggiamo tra di noi? Come mai, il lupo non dimora ancora con l’agnello e la pantera non si sdraia accanto al capretto, e il vitello e il leoncello non pascolano insieme –parafrasando il testo di Isaia 11-. Come mai? Come mai l’uomo si crede ancora superiore alla donna? Come mai una razza, una cultura, una religione, pensano ancora di essere le uniche, le più onorabili, le più vere?

Io non ho la risposta, o forse la mia non sarebbe sufficiente, ma dico, con il Savonarola, che anche noi siamo troppo tiepidi, che anche noi molte volte ci muoviamo ancora con la logica della notte.

 Il sangue di Oscar Romero, quello di Marianela Garcìa e di tanti altri, mescolato con quel calice che saltò in aria con il vino dentro, quel famoso 24 marzo, è arrivato fino a noi, e noi beviamo a quello stesso calice e mangiamo quello stesso pane che restò lì, in quel momento di confusione, di paura, di tristezza per chi aveva sognato e lottato con il suo vescovo.

 Qualche anno fa, per motivi di lavoro, andai in Salvador ed ebbi l’onore di camminare in quella piccola cappella dell’ospedaletto, e nella stanza dove soleva riposare e studiare –c’erano molti libri di teologia della liberazione-Oscar Romero, anche se tutto sembrava immobile, quello spazio non mi parve una reliquia, ma un frammento o una scintilla, come se lì fosse caduto un meteorite, che in qualche modo –pur lasciando quasi apatica la chiesa ufficiale del tempo- segnava un’altra epoca, scatenava quell’energia di vita che non si è ancora interrotta e che noi raccogliamo, ancora questa sera, bevendo dello stesso calice e mangiando dello stesso pane, perché ciascuno, come può, a modo suo, come sa, continui a far circolare la vita insieme ad altre e altri e non permetta che qualcuno la trattenga solo per sé.

 Concludo questa breve memoria, ricordandovi  di non separare Oscar Romero da Marianela Garcìa,  perché è strano, ma la storia per essere vera deve essere pensata così, in questa bellissima differenza, in questo sangue mescolato trai generi diversi,  e guarda caso, il 16 novembre dell’89, sempre a San Salvador, altro sangue si mescolò con la terra. Fu quello dei 6 Padri Gesuiti dell’Università Cattolica della città: Ignacio Ellacuría, Ignacio Martin Baro, Segundo Montes, Amando Lopez, Juan Ramon Moreno,Joaquin Lopez, insieme alla cuoca della comunità Elba Julia Ramos e a sua figlia  quindicenne Celina Mariceth Ramos. Anche in questo caso, il sangue di uomini e donne si mescolò e guarda caso, fu anche il sangue di una cuoca cioè di chi conosce bene cosa significa preparare un banchetto, una tavola, il cibo per tutti. Ricordiamo anche loro e impariamo e chiediamo allo Spirito di tutti loro che non smetta di parlarci della vita, quella vera.